Sora, tra bar e disoccupazione: la teoria della “Bar economy”, un modello di declino economico delle province italiane.
Ho trascorso un intero inverno a studiare i principi e le teorie di Adriano Olivetti sulla comunità e un’intera estate ad analizzare un caso che conosco molto bene: l’economia di una comunità locale che, nel tempo, ha cambiato volto più volte, passando da un’economia agricola a una manifatturiera, poi a una commerciale, per ritrovarsi oggi nel nulla.
Partiamo dai principi di Adriano Olivetti, che possono essere riassunti così:
Il principio di comunità di Adriano Olivetti si basa sull’idea che l’impresa non debba essere solo un’entità economica, ma un centro di sviluppo per la società, integrando il benessere dei lavoratori con quello del territorio circostante. La sua visione si oppone al primo sviluppo industriale che considerava l’azienda e la società due entità separate.
I pilastri del principio di comunità sono:
Adesso, analizziamo il caso di Sora, una cittadina di 24.000 abitanti che fino a tre decenni fa era un centro economico fiorente. Dai miei riscontri, quest’area presenta un’inflazione sui beni di consumo “fuori da ogni logica di mercato”, unita a un reddito medio tra i più bassi d’Italia e a un valore immobiliare crollato. Tutto questo nonostante la sua posizione strategica, a meno di 100 km da Roma e Napoli, nel cuore di un potenziale bacino di oltre 10 milioni di abitanti. La mia è una teoria che non si limita a Sora, ma come ogni caso di studio, prende un esempio concreto per analizzarlo, auspicando che possa essere confermata o smentita da altri studiosi. Cercavo una risposta a domande che mi assillavano: come può un’economia, seppur piccola e non strutturata, distruggersi in così poco tempo? Perché il reddito medio e il valore degli immobili crollano in contemporanea? Come è possibile la scomparsa della classe media e la diffusione di atteggiamenti da ricchi con redditi da poveri? La risposta, che ho trovato studiando i fenomeni sociali, i dati economici e, soprattutto, le abitudini degli abitanti, l’ho racchiusa nella teoria della Bar Economy.
Il concetto di Bar Economy non è una semplice teoria, ma un’analisi concreta delle dinamiche che stanno trasformando molte città di provincia in Italia. Questa tesi si basa sull’osservazione che, in un contesto di crisi, la proliferazione di bar, ristoranti e luoghi di svago non è un segnale di sviluppo, ma un sintomo di un profondo decadimento strutturale. Un’economia dove il consumo improduttivo, il vizio e il passatempo prendono il sopravvento sulla creazione di valore, sulla produzione e sull’investimento. Il caso di Sora, in provincia di Frosinone, ne è un esempio evidente, aggravato dall’impatto degli empori cinesi che hanno indebolito ulteriormente il tessuto produttivo e commerciale.
Il fenomeno della Bar Economy emerge in un contesto di deindustrializzazione. In passato, la provincia di Frosinone vantava circa 2.600 imprese manifatturiere. Oggi, un vuoto economico ha preso il posto di quelle attività, ed è stato colmato da una proliferazione di servizi a basso valore aggiunto. A rendere il quadro ancora più fragile è stato l’arrivo degli empori cinesi. Nati con l’offerta di prodotti a basso costo e di scarsa qualità, hanno messo fuori mercato le storiche ferramenta, i negozi di casalinghi e le piccole botteghe a conduzione familiare. La loro scomparsa ha significato non solo la perdita di posti di lavoro, ma anche la distruzione di una tradizione commerciale radicata. L’effetto domino ha colpito anche l’artigianato locale. Falegnami, vetrai, fabbri e altri artigiani hanno visto crollare la domanda, portando alla chiusura delle loro botteghe e alla perdita di un patrimonio di competenze uniche.
È fondamentale chiarire che non ho nulla contro la comunità e la cultura cinese, che sono tra le più laboriose e storicamente rilevanti. La mia analisi, tuttavia, riguarda il modello economico che si sta affermando in molti settori, dalla ristorazione all’estetica e, prima ancora, nella produzione manifatturiera dell’abbigliamento, oggi alla vendita sia al dettaglio che all’ingrosso. Questo modello, a mio avviso, ha una natura quasi “parassitaria” perché la ricchezza prodotta sul territorio non viene reinvestita e distribuita a livello locale, ma si dissolve in un contesto di totale evanescenza economica e produttiva.
La critica non si rivolge alla comunità cinese, ma alla miopia della politica locale. Come ricordava il grande Piero Angela, la politica non crea ricchezza, ma si limita a distribuire quella prodotta da altri. In questo contesto, la politica locale ciociara è stata in grado di grattare il fondo del barile, dimostrando una totale assenza di visione e una gestione inefficace.
La fase successiva di questo processo ha rivelato un’evoluzione preoccupante. Dopo aver monopolizzato la distribuzione di una vasta gamma di prodotti, gli empori cinesi hanno iniziato ad aumentare i prezzi. Questo ha innescato una sorta di “inflazione da distribuzione“: pur continuando a offrire prodotti di qualità generalmente bassa, i prezzi sono saliti, approfittando della mancanza di alternative commerciali. Il paradosso è che, dopo aver spazzato via la concorrenza con prezzi stracciati, questi empori hanno acquisito il potere di mercato per imporre le proprie condizioni, con un danno finale che ricade interamente sui consumatori.
I dati economici e demografici degli ultimi vent’anni per la provincia di Frosinone confermano la teoria della Bar Economy. Il valore aggiunto pro capite rimane tra i più bassi a livello nazionale, e il tasso di disoccupazione, che nel 2017 ha raggiunto un picco del 18%, ha colpito in particolare il settore femminile, evidenziando la profonda fragilità del mercato del lavoro.
A luglio 2025, i dati sul mercato immobiliare testimoniano chiaramente la crisi. Il prezzo medio per l’acquisto di un’abitazione a Sora è di circa 794 euro al metro quadro, inferiore alla media provinciale di 802 euro/m² e ben lontano dai 1.282 euro/m² di Cassino o dai 1.159 euro/m² di Frosinone. Questo calo, unito alla presenza di innumerevoli locali commerciali sfitti, è il riflesso tangibile della mancanza di investimenti e della profonda sfiducia nel futuro del territorio. La città, un tempo vivace polo di produzione, sembra ora nutrirsi di sé stessa, in un ciclo di consumo che non crea nuova ricchezza.
La Bar Economy non è solo un fenomeno economico, ma ha un impatto profondo sul capitale sociale e umano. Il consumo di svago e il passatempo del niente finiscono per sostituire il lavoro e la produzione, bloccando ogni possibilità di ripresa. Questa tendenza favorisce l’emigrazione di risorse qualificate verso le grandi città, un fenomeno che svuota le aree interne delle competenze necessarie per una rinascita economica. Senza investimenti(in cultura e competenze) e senza un cambio di rotta, il rischio è che la Bar Economy diventi il simbolo di un’Italia che si spegne, una provincia alla volta.