Il business dell’aspirazione e il costo sociale della moda
La recente decisione dell’ASA, l’autorità britannica per la pubblicità, di vietare due immagini della nuova campagna pubblicitaria di Zara nel Regno Unito ha acceso un riflettore su una questione che, nel mondo della moda e del consumo, si trascina da decenni: perché continuiamo a vedere modelle così magre, quando la maggioranza dei consumatori non assomiglia a quel corpo?
La risposta, purtroppo, è tanto semplice quanto scomoda: la magrezza vende.
Facciamo una analisi assieme a Fashion News Magazine in questa piccola inchiesta. Lungi dall’essere un retaggio casuale o puramente estetico, la scelta di proporre corpi filiformi nelle pubblicità si inserisce in una logica di mercato, di percezione del valore e di controllo sociale del desiderio. Da un lato, un corpo magro viene ancora associato a eleganza, aspirazione, disciplina, lusso. Dall’altro, si genera nel consumatore un senso di mancanza, un bisogno latente di avvicinarsi a quell’ideale. E come si colma questo vuoto? Acquistando.
In altre parole, la pubblicità non è un semplice specchio della realtà, ma un potente costruttore di desiderio. Proporre un corpo che pochissimi hanno significa innescare un circolo economico basato sul tentativo di raggiungere un ideale inarrivabile: vestiti, diete, cosmetici, fitness, chirurgia. Un ciclo che alimenta continuamente il consumo.
Dal punto di vista sociologico, la figura della modella magra ha una storia profonda, intrecciata con l’evoluzione dei modelli di femminilità e con il controllo sociale dei corpi. Negli anni Sessanta, Twiggy ha rivoluzionato l’estetica con un fisico esile che rompeva con le curve abbondanti del dopoguerra. Da lì in poi, con poche eccezioni, la moda ha continuato a proporre modelli sempre più esili. Anche quando si è parlato di “body positivity”, i corpi inclusivi hanno spesso trovato spazio in nicchie, mentre le passerelle e le campagne globali restavano ancorate alla magrezza.
Tutto questo nonostante i numeri ci raccontino altro. Secondo i dati Eurostat, la maggioranza della popolazione europea è in sovrappeso o ha un corpo fuori dagli standard canonici. In Italia, oltre il 45% delle donne ha una taglia superiore alla 44. Eppure, la rappresentazione dominante nelle campagne pubblicitarie continua a proporre corpi che statisticamente non rappresentano il pubblico femminile.
Perché? Perché, nel linguaggio economico della pubblicità, l’aspirazione vende più dell’identificazione. E la magrezza è ancora percepita come status, come appartenenza a un’élite, come simbolo di controllo e successo.
Questo sistema, però, ha un costo sociale altissimo. Alimenta insicurezze, disturbi alimentari, senso di inadeguatezza, specialmente tra i giovani. E contribuisce a costruire un immaginario irrealistico che penalizza la diversità e l’autenticità.
Zara, a seguito della decisione dell’ASA, ha ritirato le immagini incriminate, dichiarando che le modelle erano in buona salute e che i ritocchi erano minimi. Ma ciò che è emerso è una verità più profonda: non basta certificare la salute delle modelle per risolvere un problema culturale ed economico radicato.
Come direttrice di Fashion News Magazine, ho voluto riflettere su questo tema anche da una prospettiva di comunicazione e impatto sul consumatore. In un passaggio dell’inchiesta, ho dichiarato:
“Quando un’immagine viene utilizzata per vendere, non è mai neutra. Scegliere un certo tipo di corpo significa indirizzare un desiderio, costruire un’aspettativa. La magrezza è ancora il codice visivo della moda di lusso, del controllo, della superiorità sociale. Ma è anche un codice che esclude, che ferisce, che alimenta frustrazione. Oggi più che mai, serve coraggio per cambiare immaginario. E il coraggio, nel mondo del marketing, si traduce in scelte creative ed economiche consapevoli.” Barbara Molinario
Come Consumerismo, è nostro dovere evidenziare il legame diretto tra immagine e comportamento d’acquisto, tra stereotipo e impulso economico. I brand, pur dichiarando impegno verso l’inclusività, spesso ritornano al modello della magrezza estrema non perché sia giusto, ma perché funziona. O meglio, funziona in un sistema che abbiamo accettato per troppo tempo.
Ma le cose stanno cambiando. I consumatori sono più attenti, più critici, più consapevoli. E se oggi un’autorità come l’ASA può bloccare una campagna per “immagine malsana”, è perché l’opinione pubblica sta chiedendo altro: verità, varietà, rappresentazione reale.
Le aziende che avranno il coraggio di raccontare questa realtà – senza filtri, senza manipolazioni, senza stereotipi – saranno anche quelle che costruiranno un nuovo legame di fiducia con i consumatori. E alla lunga, questa fiducia sarà più redditizia dell’illusione.