Cos’è il pester power?
Fare la spesa con un bambino può sembrare un’operazione semplice. Ma basta entrare in un supermercato per rendersi conto di quanto, in realtà, sia diventata una vera e propria sfida psicologica e commerciale. Occhi attenti, colori sgargianti, mascotte sorridenti, e prodotti posizionati strategicamente all’altezza dello sguardo dei più piccoli: benvenuti nell’era del pester power.
Ne abbiamo parlato ad Estate Bene su Rai 3 con Francesca Parisella
Il termine deriva dall’inglese to pester, ovvero “assillare”, “importunare”. In italiano viene spesso tradotto come “potere di seccatura” o “potere di insistenza”, ed è usato per descrivere quel fenomeno per cui i bambini, sottoposti a sollecitazioni visive e pubblicitarie, iniziano a chiedere insistentemente ai genitori l’acquisto di un determinato prodotto.
Questa dinamica è ben nota ai professionisti del marketing e rappresenta una strategia perfettamente pianificata: puntare sui bambini per arrivare ai portafogli degli adulti.
Uno studio europeo condotto da BEUC (Organizzazione europea dei consumatori) ha mostrato che 9 genitori su 10 si sentono influenzati dalle richieste dei figli quando fanno la spesa. In Italia, secondo dati Nielsen, il 72% delle decisioni di acquisto di snack, dolciumi e giocattoli nei supermercati è almeno parzialmente influenzato dai bambini. E il 35% dei genitori dichiara di aver acquistato prodotti non previsti solo per “evitare scenate” o “farli contenti”.
Il layout dei supermercati è frutto di anni di studio sul comportamento umano. Gli snack, le cioccolate, i giocattolini e le mini-edicole con figurine e sorprese vengono sistemati all’altezza degli occhi del bambino, generalmente tra i 90 e i 120 cm da terra. A questo si aggiunge il packaging colorato, con personaggi dei cartoni animati, colori sgargianti e spesso richiami a premi, collezioni o regali.
Ma il pester power non si ferma agli scaffali. Anche le casse sono strategicamente sfruttate: mentre si aspetta in fila, e il genitore è distratto dal pagamento, i piccoli sono tentati da gomme, cioccolatini, mini-gadget. È qui che parte il pressing: “Posso prenderlo?”, “Solo uno!”, “Tutti lo hanno!”. Ed è qui che spesso cediamo.
Cedere al pester power può sembrare innocuo, ma nel lungo periodo rischia di minare l’autorità educativa del genitoree creare un circolo vizioso di premi immediati. Il bambino impara che con abbastanza insistenza otterrà ciò che vuole, e questa dinamica può avere effetti anche sulla gestione delle frustrazioni e delle attese.
Inoltre, a livello psicologico, si rafforza una relazione consumistica col desiderio, dove il bisogno non nasce da una reale utilità, ma da un impulso emotivo indotto da stimoli esterni.
Dal punto di vista del mercato, i bambini rappresentano una fascia di influenza d’acquisto enorme, pur non avendo potere economico diretto. Si stima che, in Italia, le famiglie spendano in media oltre 1.200 euro l’anno in prodotti non pianificati ma acquistati su sollecitazione dei figli, soprattutto tra i 3 e i 10 anni.
I brand lo sanno. E investono: solo nel settore alimentare, le pubblicità destinate ai bambini sono aumentate del 23% negli ultimi 5 anni. Con effetti tangibili sui consumi, ma anche sulle abitudini alimentari: troppi zuccheri, snack ultra-processati e abitudini scorrette si radicano proprio nell’infanzia, spesso senza che i genitori se ne rendano conto.
Noi di Consumerismo chiediamo che venga adottato un codice etico condiviso, che limiti l’utilizzo del marketing aggressivo rivolto ai bambini, in particolare nei punti vendita. Serve maggiore responsabilità sociale da parte di brand e GDO, soprattutto quando si parla di alimentazione, salute e benessere.
In un’epoca in cui la consapevolezza dei consumi è fondamentale, non possiamo continuare a trasformare i bambini in inconsapevoli leve di marketing.