Tra recensioni manipolate e costi inaspettati: la sfida per un rapporto trasparente tra clienti e aziende
Ci fidiamo di quello che leggiamo online, è inutile negarlo. Prima di prenotare un ristorante, acquistare un servizio o scegliere un hotel, ormai la nostra prima mossa è consultare le recensioni. In pochi secondi decidiamo se fidarci o meno.
Ma cosa accade quando quelle recensioni sono false, comprate, manipolate? E cosa succede quando un cliente si trova davanti a un “conto pazzo” per aver chiesto una pizza senza pomodoro o aver portato da casa la torta del compleanno?
Oggi queste situazioni non sono più semplici aneddoti da social, ma veri temi di attualità e regolamentazione. Se ne parla nelle aule del Parlamento, nei decreti del Consiglio dei Ministri, nelle memorie delle associazioni di categoria. Il motivo è semplice: il consumatore digitale è vulnerabile quanto quello seduto al tavolo di un ristorante. E la fiducia, se tradita, può diventare un danno economico e reputazionale per tutti.
Non sempre le “battaglie” del consumatore partono da basi solide. A volte, è proprio l’intransigenza di chi acquista a generare clamore e indignazione, spesso alimentati dai social o da trasmissioni di denuncia. È il caso di alcune segnalazioni portate alla luce proprio da Mi Manda Rai 3, che hanno mostrato come dietro certi “scontrini pazzi” si nascondano realtà ben diverse da quelle raccontate.
Due euro per la musica in un locale? Non per la radio di sottofondo, ma per una serata con musica dal vivo. Dieci centesimi per tagliare un cornetto? In realtà non solo tagliato, ma anche farcito con crema su richiesta. Episodi come questi ci ricordano che, accanto al diritto di critica, serve anche correttezza nel giudizio. Perché una recensione o una denuncia, se parziale o decontestualizzata, può trasformarsi in un’ingiustizia vera per chi lavora ogni giorno con onestà.
In situazioni di questo tipo, la prima cosa che sottolineerei è che la trasparenza è fondamentale. Quando un locale espone chiaramente un listino prezzi, il consumatore sa in anticipo a cosa va incontro e può decidere liberamente se accettare quelle condizioni o meno. Quindi, se c’è un costo extra dichiarato per rimuovere un ingrediente o per tagliare una torta portata da fuori, è un costo che il cliente può valutare prima di ordinare. Questo significa che, in linea di principio, il consumatore non ha motivo di lamentarsi dopo, se quelle condizioni erano chiare. D’altra parte, è importante anche riconoscere che alcuni costi possono sembrare sproporzionati o inusuali, e qui entra in gioco il buonsenso e anche la fiducia nel ristoratore. Se un cliente si sente trattato in modo poco corretto, magari perché il prezzo non era stato davvero comunicato chiaramente o perché si tratta di una richiesta che il cliente non si aspettava, allora c’è spazio per discutere. Il giusto equilibrio sta nel chiedere sempre trasparenza e correttezza da parte dei ristoratori, e al tempo stesso invitare i consumatori a informarsi bene prima di acquistare un servizio. Se entrambe le parti giocano a carte scoperte, di solito si evitano incomprensioni e si crea un clima di fiducia reciproca.
Negli ultimi giorni si è parlato molto del nuovo Codice di Condotta volontario sulle recensioni online nel turismo, “Code of Conduct for Online Ratings and Reviews for Tourism Accommodation”, promosso dalla Commissione Europea per aumentare trasparenza e fiducia nei giudizi pubblicati su piattaforme come Booking, TripAdvisor o Google. Il documento, sottoscritto su base volontaria da aziende e associazioni di settore, punta a garantire che le recensioni siano autentiche, scritte da chi ha effettivamente usufruito del servizio e prive di distorsioni o incentivi nascosti. Ma non tutti vedono con favore questo strumento. Il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele, solleva una critica netta e ragionata sull’efficacia reale dei codici non vincolanti e sulla necessità di affidare la vigilanza alle autorità pubbliche. «Siamo contrari ai codici di condotta volontari perché il buon senso da solo serve a poco. Le recensioni online devono restare uno spazio di massima libertà, ma con regole certe e vigilanza effettiva. Non bisogna conferire ulteriore potere alle piattaforme, bensì rafforzare i diritti individuali di consumatori e imprese attraverso il monitoraggio delle autorità già esistenti, che troppo spesso finiscono per assecondare le logiche delle big tech. Il consumatore ha pieno diritto di esprimere una recensione autentica, ma questa non deve essere condizionata da fatti distorsivi o ingannevoli. Allo stesso modo, l’esercente deve avere la possibilità di chiederne la rimozione o la modifica se il contenuto è palesemente falso. A nostro avviso dovrebbe essere l’Autorità nazionale per la privacy ad avere il potere di intervenire, imponendo correzioni quando si è di fronte a dichiarazioni evidentemente infondate. Le piattaforme, dal canto loro, hanno il dovere di bloccare recensioni false o generate da sistemi automatizzati. Solo così si può costruire un ecosistema trasparente, che tuteli davvero i diritti di chi compra e di chi vende»
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un’accelerazione decisa da parte del Governo italiano: il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge all’interno della legge annuale per le PMI che affronta direttamente il problema delle false recensioni. È un tnesto che cerca di mettere ordine, di ristabilire un equilibrio tra libertà di espressione e trasparenza, tra diritto di critica e tutela degli esercenti.
La norma, ora all’esame del Senato, stabilisce alcuni punti fermi. Primo: le recensioni dovranno essere scritte solo da chi ha realmente usufruito del servizio. Niente più commenti anonimi, niente più profili fake. Il consumatore dovrà essere identificabile e, nei casi previsti, dovrà poter dimostrare di aver vissuto l’esperienza che descrive. Secondo: i contenuti dovranno essere pubblicati entro quindici giorni dal servizio ricevuto. Un tempo breve, pensato per garantire freschezza e pertinenza. Terzo: l’esercente avrà diritto di replica e potrà chiedere la rimozione delle recensioni ritenute ingannevoli, diffamatorie o, semplicemente, inattendibili.
In teoria, tutto perfetto. Nella pratica, qualche perplessità c’è. A sollevarla è stata Anitec-Assinform, associazione che rappresenta il settore dell’Information and Communication Technology in Italia. In una memoria ufficiale indirizzata alla 9ª Commissione permanente del Senato, ha evidenziato come alcune disposizioni del decreto rischino di sovrapporsi alla normativa europea già esistente, in particolare al Digital Services Act (Regolamento UE 2022/2065), che disciplina proprio il comportamento delle piattaforme digitali.
Il DSA prevede, ad esempio, che le segnalazioni di contenuti ingannevoli vengano gestite da “segnalatori attendibili”, soggetti terzi e imparziali. Ma nel disegno di legge italiano, questo ruolo potrebbe essere affidato alle stesse associazioni di categoria del turismo o della ristorazione, con evidenti rischi di conflitto di interesse. Inoltre, la normativa europea stabilisce che, in caso di richiesta di rimozione di contenuti, spetti all’impresa fornire la prova che la recensione è falsa. Nel testo italiano, invece, il meccanismo si rovescia: è la recensione ad essere ritenuta sospetta fino a prova contraria.
E poi ci sono le questioni pratiche. Pubblicare una recensione entro quindici giorni può essere limitante. Non tutti i consumatori hanno il tempo o la prontezza di farlo subito. E il vincolo dei due anni per mantenere online una recensione potrebbe cancellare feedback autentici, anche se datati. Non solo: l’obbligo di dimostrare di aver utilizzato un servizio potrebbe escludere opinioni comunque valide, come quelle di un cliente che ha provato a prenotare un soggiorno e si è scontrato con un servizio clienti scadente.
C’è davvero il rischio è quello di creare un sistema normativo troppo rigido, che scoraggia le recensioni spontanee e riduce la trasparenza, invece di favorirla. Il confine tra tutela e censura, in questi casi, è molto sottile.
Ma se guardiamo all’Europa, ci accorgiamo che il tema è già ampiamente regolato. Oltre al DSA, è entrato in vigore anche l’AI Act, il primo regolamento europeo sull’intelligenza artificiale. Tra i suoi obiettivi c’è anche quello di prevenire la manipolazione dei comportamenti dei consumatori attraverso sistemi automatizzati. E poi c’è la Direttiva Omnibus, che vieta le recensioni incentivate non dichiarate, cioè quelle scritte in cambio di un vantaggio economico senza trasparenza.
La vera sfida, quindi, è rendere la normativa italiana compatibile con questi strumenti europei, evitando di sovrapporsi, di creare obblighi inapplicabili o di frammentare il mercato digitale. Serve coerenza, e serve una visione d’insieme. Nel frattempo, il consiglio che posso dare ai consumatori è semplice: continuate a informarvi, ma fatelo con spirito critico. Non fermatevi alle prime recensioni, cercate quelle dettagliate, verificate, coerenti. E se avete avuto un’esperienza, raccontatela, ma in modo costruttivo, corretto, onesto. Ai ristoratori, agli albergatori, agli esercenti dico invece: siate trasparenti. Esponete i prezzi, spiegate gli extra, giocate a carte scoperte. Anche gli scontrini “pazzi”, se ben motivati e comunicati in anticipo, smettono di essere folli e diventano semplicemente parte di un’offerta chiara.
Ma deve essere costruita sulla verità, non sul marketing. E anche la libertà d’espressione va protetta, ma senza diventare un’arma impropria. Questa legge, se correttamente scritta e applicata, può essere un’opportunità. Per riportare ordine, serietà e fiducia nel mondo digitale e in quello reale. Ma perché funzioni, deve ascoltare tutte le voci in campo. E soprattutto, deve mettere al centro chi da sempre è il vero protagonista: il consumatore.
Abbiamo raccolto una proposta di miglioramento del meccanismo di recensioni attuale dall’esperto di Digital Marketing Eugenio Sacco, fondatore di Scripta For Business: «Oggi le recensioni online sono una giungla: chiunque può scrivere qualsiasi cosa, senza controllo. Una soluzione possibile? Introdurre un sistema di check-in digitale geolocalizzato, simile a quanto accade su Amazon con la dicitura “Acquisto verificato”. In questo modo si potrebbe collegare la recensione alla reale presenza del cliente nel locale, in un momento specifico. Se a questo si aggiungesse anche la prova d’acquisto, come uno scontrino o una fattura, si otterrebbe un doppio livello di tracciabilità. È probabile che il numero di recensioni si riduca, ma aumenterebbe la loro affidabilità. Sarebbe un passo verso un ecosistema più trasparente, che premia chi lavora bene.»