Dalla dipendenza dal gas russo alla fine del mercato tutelato, l’analisi dei dati mostra che le tensioni internazionali hanno agito da miccia, ma è la struttura del mercato a determinare quanto pagano oggi le famiglie italiane
L’andamento dei prezzi dell’energia in Italia negli ultimi cinque anni racconta una storia di instabilità e di scelte economiche che hanno inciso direttamente sui bilanci delle famiglie. La guerra in Ucraina, la dipendenza dal gas russo e la successiva transizione al mercato libero hanno innescato una catena di rincari che, in molti casi, ha colpito in modo sproporzionato i consumatori meno informati o vincolati da contratti poco trasparenti.
Nel 2019 e 2020 il prezzo medio della luce oscillava tra 0,20 e 0,22 euro al kWh. Era un periodo di equilibrio, con un sistema energetico stabile e forniture affidabili. Ma già nel 2021, con la ripresa economica post-pandemia e le prime tensioni internazionali, i prezzi iniziarono a salire fino a 0,28 euro. Il mercato libero, che allora mostrava rincari tra il 10 e il 15% rispetto alla tariffa tutelata, iniziava a mostrare la propria vulnerabilità nei momenti di tensione globale.
Il 2022 è stato l’anno della vera esplosione. L’invasione russa dell’Ucraina ha portato il prezzo medio tra 0,35 e 0,40 euro, con picchi fino a 0,50 euro. Mentre il mercato tutelato disponeva di meccanismi di contenimento, nel mercato libero i consumatori si sono trovati esposti a rincari diretti e aggressivi, soprattutto per chi aveva offerte indicizzate al prezzo all’ingrosso. In questo scenario, l’assenza di regole rigide ha consentito ai fornitori di trasferire immediatamente i costi e di aumentare i margini.
Nel 2023, con la diversificazione delle forniture e il calo dei prezzi all’ingrosso, ci si sarebbe potuti aspettare una riduzione significativa delle bollette. In realtà, nel mercato libero i benefici si sono visti solo in parte. Molti contratti rigidi e offerte non aggiornate hanno impedito di trasferire ai clienti i vantaggi della discesa dei prezzi. Il risultato è che, nonostante un costo medio sceso a circa 0,30 euro al kWh, i clienti del libero mercato hanno continuato a pagare anche il 20 o 30% in più rispetto a chi restava in tutela.
Oggi, nel 2025, la situazione è apparentemente stabile, con prezzi medi tra 0,25 e 0,30 euro al kWh. Ma la fine del mercato tutelato e il passaggio obbligato al libero rendono il quadro più complesso. I dati elaborati da Consumerismo No Profit mostrano che, a parità di condizioni, un consumatore nel mercato libero può arrivare a spendere fino all’80% in più rispetto alle ex tariffe regolate o alle nuove Tutele Graduali. È un effetto di mercato che non dipende più dalla guerra, ma da scelte commerciali e dalla mancanza di un tetto di riferimento per i fornitori.
Le guerre e le crisi globali hanno agito come detonatori, ma è il meccanismo del mercato a decidere quanto peseranno sulle tasche dei cittadini. La lezione che possiamo trarre è chiara: la volatilità internazionale non può essere controllata, ma la trasparenza e la vigilanza sul mercato interno sì. Occorre rafforzare l’informazione ai consumatori, incentivare la comparazione delle offerte e garantire strumenti di controllo efficaci per evitare che la concorrenza si trasformi in speculazione.
Il passaggio al mercato libero non è necessariamente un male, ma deve essere accompagnato da un sistema di regole capace di tutelare chi non ha competenze tecniche per orientarsi tra decine di offerte complesse. Il prezzo dell’energia non può essere lasciato alle sole logiche di profitto, perché dietro ogni bolletta ci sono famiglie, imprese e diritti da proteggere.
“La narrazione secondo cui i prezzi sarebbero determinati esclusivamente da fattori internazionali è ormai una farsa.” Dichiara Luigi Gabriele, presidente di Consumerismo. “È vero che tali elementi hanno inciso, ma la causa principale dei rincari è la voracità di alcuni operatori, in particolare dei grandi gruppi che, pur fingendosi separati dai distributori di rete, di fatto controllano l’intera filiera: produzione, distribuzione e vendita. È plausibile che questi soggetti abbiano adottato comportamenti simili a quelli già accertati dall’Antitrust nel settore dei carburanti, come la formazione di cartelli per mantenere alti i prezzi. Invitiamo i consumatori a orientarsi verso operatori più piccoli, spesso più attenti alla reputazione e al rapporto diretto con i clienti, e meno inclini a proporre tariffe ingannevoli o poco trasparenti.”