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Quando essere donna costa di più: la “pink tax” sotto la lente europea e italiana

La pratica della discriminazione di prezzo basata sul genere emerge anche nell’Unione Europea e tocca da vicino i consumatori italiani: è tempo di capire, reagire e risparmiare.

Nel corso degli ultimi anni è emersa con sempre maggiore chiarezza una dinamica poco visibile ma molto concreta nei bilanci familiari: la cosiddetta “pink tax”, ovvero una discriminazione indiretta nei prezzi rivolta alle donne.

Recentemente il Parlamento Europeo ha sollevato la questione con la risoluzione E-10-2025-000379 in cui segnala che “prodotti e servizi rivolti alle donne sono spesso più costosi rispetto a equivalenti destinati agli uomini, benché differiscano solo per colore, nome o confezione”.  In Italia l’argomento è tornato nuovamente alla ribalta attraverso un approfondimento del quotidiano online TGCOM24 che mostra come rasoi, creme idratanti e altri articoli destinati alle donne finiscono per gravare di un sovrapprezzo solo in quanto “al femminile”.

La discriminazione di prezzo ha implicazioni dirette per i consumi: se una donna medio-utente acquista prodotto dopo prodotto destinato a lei, con un piccolo sovrapprezzo sistematico, nel complesso si ritrova a spendere di più per beni analoghi a quelli maschili. Nel contesto italiano può significare meno disponibilità per altre spese, ritorno più lento degli investimenti personali o semplicemente una perdita di potere d’acquisto. Il Parlamento Europeo ricorda che la direttiva 2004/113/CE vieta la discriminazione di accesso a beni e servizi basata sul sesso, comunque questo fenomeno resta poco mappato e poco combattuto a livello comunitario.

In Italia è utile che i consumatori e in particolare le consumatrici sappiano riconoscere le pratiche che alimentano la pink tax. Ecco alcuni consigli pratici: innanzitutto confrontare il prezzo unitario (cioè costo per litro, per chilo, per pezzo) tra versioni “rosa” o “femminili” e quelle “maschili”, per verificare se la differenza è giustificata da caratteristiche tecniche diverse oppure solo dal branding. Se la confezione ha lo stesso contenuto e le stesse funzionalità, è ragionevole chiedersi perché si paghi di più. In secondo luogo preferire brand che non segmentano artificialmente per genere gli stessi prodotti oppure scegliere versioni unisex o “maschili” quando compatibili con il proprio bisogno. In terzo luogo, segnalare alle associazioni di tutela del consumatore eventuali evidenze di disparità non giustificate: su questo fronte può intervenire anche Consumerismo, che monitora le pratiche commerciali scorrette.

Dal punto di vista istituzionale è necessario un passo avanti. Il Parlamento Europeo invita la Commissione a svolgere un’indagine sistematica mediante il Joint Research Centre al fine di mappare il fenomeno a livello UE.  In Italia ciò significa che il legislatore e gli enti garanti devono dare maggiore trasparenza alle politiche di prezzo e creare strumenti per contrastare efficacemente questi extra-costi invisibili. Ciò si collega alla sostenibilità dei consumi, perché spendere di più per ragioni di genere non è solo una questione di equità ma anche una spreco di risorse nel contesto più ampio dell’economia domestica e della transizione verso modelli più responsabili.

Sul piano delle buone pratiche è opportuno che le imprese adottino politiche di pricing più consapevoli e trasparenti, evitando classificazioni di genere improprie e comunicando in modo chiaro il perché di eventuali differenze di prezzo. I consumatori possono favorire marchi che mostrano tale responsabilità e creare un circolo virtuoso verso maggiore equità. Così il risparmio individuale diventa anche segno di un consumo più consapevole e sostenibile.

In un momento in cui l’inflazione e l’aumento dei costi toccano le famiglie italiane, ogni euro risparmiato conta. Tenere d’occhio le differenze di prezzo che derivano dal genere non è un esercizio di attenzione marginale, è un atto concreto verso un potere d’acquisto più equo, una maggiore trasparenza nei mercati e uno stile di consumo che valorizza sostenibilità e giustizia sociale.

ARGOMENTI: pink tax
Barbara Molinario

Barbara Molinario è giornalista ed esperta di comunicazione, con oltre venticinque anni di esperienza nel mondo dell’editoria. Opinionista indipendente, interviene su temi legati ai consumi e alla tutela dei consumatori. Collabora con numerose testate giornalistiche, agenzie stampa, web, radio e TV, tra cui TG1, Rai Parlamento, Unomattina, Estate in Diretta, Tg2 Costume e Società, Agorà, Mi Manda Rai 3, TGR Lazio, Mattino Cinque, Ansa, Aska, Adn Kronos. È anche speaker radiofonica. Esperta di moda e costume, è direttrice del magazine Fashion News Magazine. Segretario Generale dell’associazione no profit Consumerismo, si occupa di promozione dei diritti dei cittadini e sensibilizzazione sociale. È inoltre Presidente dell’associazione Road to green 2020, con cui promuove la sostenibilità ambientale attraverso il forum internazionale “La città del futuro” e il contest #roadtogreen, che valorizza artisti, designer e innovatori. Con il progetto Road to pink è attivamente impegnata nella lotta contro la violenza di genere. Progettista di interventi per privati e bandi pubblici, opera nei settori dell’impresa e del sociale, sviluppando iniziative ad alto impatto culturale, ambientale ed educativo. È attivista nel campo della tutela e formazione dei minori. Conta all’attivo progetti come Legal Love e Mangio dopo, che affrontano temi legati al benessere psico-fisico dei più giovani, collaborando con scuole e istituzioni pubbliche. Docente di comunicazione, ufficio stampa, pubbliche relazioni e organizzazione eventi, è amministratore della società DBG Management & Consulting srl ed è tra i soci fondatori del Convention Bureau Roma e Lazio. È stata per anni attiva nel sistema Confindustria. Tra le sue pubblicazioni e produzioni: Combattere il cyberbullismo. Riconoscere le Fake News. Gestire gli haters; Zero, il libretto interattivo contro lo spreco del cibo; Racconto di una vita da Corsaro. Pier Paolo Pasolini; Riciclare è un’arte; Sostenibilità nell’industria della moda, tra nuovi trend, falsi miti. Come presidente dell’Associazione no profit Road to green 2020, dal 2016 ogni anno organizza il Forum internazionale “La città del futuro” dedicato alla promozione della sostenibilità ambientale, con il sostegno del Ministero della Transizione Ecologica, tante istituzioni e realtà private attive nel mondo dell’ecologia. Mecenate appassionata di arte e cultura, promuove e favorisce le belle arti, dal 2017 dà voce e spazio a creativi attraverso il contest #roadtogreen sostenendo concretamente artisti, designer, ricercatori, studiosi, letterati. Attivista contro la violenza di genere in ogni forma, tramite il progetto Road to pink dà voce alle donne. Amministratore della società di eventi e ufficio stampa DBG Management & Consulting, è tra i soci fondatori del Convention Bureau Roma e Lazio, per anni ha militato in Confindustria. Tra le pubblicazioni ed i videocorsi: “Combattere il cyberbullismo. Riconoscere le Fake News. Gestire gli haters.”; “Zero, il libretto interattivo contro lo spreco del cibo”; “Racconto di una vita da Corsaro. Pier Paolo Pasolini.”; “Riciclare è un’arte”; “Sostenibilità nell’industria della moda, tra nuovi trend, falsi miti”.

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