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Geopolitica dell’inflazione: chi guadagna davvero quando noi paghiamo di più?

Tra conflitti, speculazioni e catene globali in crisi, l’inflazione è diventata l’indicatore più sottovalutato della geopolitica contemporanea.

Dietro ogni aumento dei prezzi si nasconde una catena di decisioni, eventi e interessi che spesso superano i confini nazionali.
Oggi Punti Cardinali esplora il lato geopolitico dell’inflazione: non solo cause e colpe, ma anche chi ci guadagna mentre le famiglie fanno i conti.

Inflazione, la narrazione ufficiale: tra BCE, tassi e consumo

Quando si parla di inflazione, la versione ufficiale ci porta subito ai movimenti della Banca Centrale Europea, al rialzo dei tassi per contenere la domanda e alla necessità di “raffreddare” l’economia per riportare i prezzi sotto controllo. In questa narrazione, l’inflazione è spesso vista come un problema interno, da gestire con strumenti tecnici, misurabili. Ma sempre più spesso, questa rappresentazione risulta parziale.

Le vere cause globali: quando la politica estera incide sulla spesa interna

La verità è che l’inflazione del nostro tempo è figlia di una geopolitica agitata. Le rotte commerciali si accorciano o si allungano a seconda dei conflitti. Le guerre – dall’Ucraina al Mar Rosso – incidono sulle materie prime, sui trasporti, sulle assicurazioni marittime. Un container che impiega 20 giorni in più per arrivare, ha un costo. E quel costo si riflette sul banco del supermercato.

Allo stesso tempo, la corsa globale a risorse come gas, microchip o terre rare genera meccanismi di accaparramento, tensioni nei mercati e dinamiche speculative. Il prezzo del pane, del carburante, del cellulare nuovo è sempre più sensibile a ciò che accade tra Washington e Pechino, a un tweet da Teheran, a una nave ferma nello Stretto di Hormuz.

I nuovi vincitori: chi prospera nell’instabilità?

C’è chi l’inflazione la subisce, e chi la cavalca.

I primi vincitori sono gli Stati esportatori di energia, come la Russia, il Qatar, l’Arabia Saudita e – in modo meno visibile ma non irrilevante – anche gli Stati Uniti. L’instabilità altrui si trasforma per loro in margini di profitto.

Subito dopo ci sono i big della logistica globale: gruppi come Maersk, MSC, e le principali compagnie cargo aeree, che controllano flussi, rotte, e in un certo senso anche il “tempo” dei mercati. In un mondo più incerto, chi garantisce continuità ha più potere.

Poi ci sono gli attori finanziari: fondi speculativi, hedge fund, investitori istituzionali che giocano sui futures delle materie prime, che scommettono sulla scarsità, che muovono capitali dove c’è inflazione aspettandosi rendimenti. E infine, le multinazionali con forte potere di prezzo: nel settore alimentare, tecnologico, farmaceutico. Aziende capaci di aumentare i listini più velocemente dei costi.

E l’Italia? La posizione di un Paese esposto ma non ininfluente

L’Italia vive un doppio vincolo strutturale: da una parte la dipendenza energetica (abbiamo fatto passi avanti, ma siamo ancora lontani da un’autonomia strategica); dall’altra un debito pubblico elevato che ci rende sensibili a ogni movimento dei tassi e dei mercati finanziari.

Tuttavia, abbiamo alcune carte da giocarci. Il Made in Italy ha ancora appeal globale, specie nei settori agroalimentare e moda, ma questo vantaggio rischia di erodersi se il costo del lavoro resta alto e le imprese non investono in efficienza e filiere corte. Inoltre, l’appartenenza all’UE ci garantisce una rete di protezione (finanziaria e diplomatica) che va valorizzata con più iniziativa e meno attendismo.

Leggere l’inflazione come un indicatore geopolitico

Pensare di risolvere l’inflazione solo con leve monetarie è come curare la febbre ignorando l’infezione. I prezzi salgono perché il mondo è instabile, perché le catene del valore sono fragili, perché alcuni attori globali hanno interesse a mantenere alta la tensione.

L’inflazione è uno specchio di un ordine globale in transizione. Serve una nuova alfabetizzazione economica dei cittadini, una responsabilità politica più strategica e una capacità collettiva di leggere i segnali deboli.
Perché non è solo questione di spendere meno: è questione di capire di più.

 

Davide Maestri

Davide Maestri è un imprenditore e advisor strategico con una ventennale esperienza in crescita aziendale, corporate finance e trasformazione d’impresa. Laureato in Scienze Politiche ed Economiche con specializzazione in Comunicazione d’Impresa e Marketing, ha conseguito un Master in Management e Sport Management e un diploma post-laurea ISPI in Geopolitica e Relazioni Internazionali. Ha affiancato corporate, fondi e istituzioni nella definizione di strategie di crescita, governance e posizionamento, guidando operazioni di exit, IPO e raccolte capitali multimilionarie, in contesti ad alta complessità e scenari geopolitici in evoluzione. Ha collaborato con multinazionali, società di consulenza globale e fondi d’investimento su progetti di M&A, sviluppo di nuovi modelli di business, valorizzazione di asset strategici e ristrutturazioni aziendali. Con un approccio che integra visione macro-strategica ed execution operativa, ha operato in 13 mercati tra Europa, Stati Uniti e Medio Oriente, accompagnando oltre 380 talenti nel loro sviluppo. È noto per la sua capacità di leggere i sistemi complessi, anticipare trend e costruire ecosistemi a impatto positivo. Oltre alle sue aziende Talents Court e Wise Gate, nel settore non profit è senior partner di Grateful Foundation ETS, think tank dedicato alla promozione dell’Economia Sferica e della centralità della persona. È autore del libro "Talents Court. Strategie per allenare il talento" (2023) e fondatore di Punti Cardinali (2025), piattaforma editoriale che integra contenuti strategici, analisi e visione sul futuro. info@maestridavide.com
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