
Questa pratica – già attiva in alcune zone del Regno Unito, Canada e Australia – consiste nel “prescrivere” attività sociali, creative o culturali ai pazienti con problemi di salute mentale, solitudine cronica o patologie legate a fattori sociali. Non è una moda, è un cambio di paradigma: la salute non è più solo un fatto biologico, ma geopolitico, economico, urbano.
Il grande errore del nostro tempo
Abbiamo trattato la solitudine come una condizione privata. Ma è sempre più evidente che l’isolamento è una malattia sistemica, alimentata da stili di vita consumistici, urbanizzazione sradicata, fratture generazionali e lavoro iperindividualizzato. Secondo l’OMS, la solitudine è uno dei principali fattori di rischio per depressione, demenza e morte precoce. Negli Stati Uniti è stato calcolato un costo annuo di 6,7 miliardi di dollari solo per l’assistenza agli anziani isolati.
In Italia, il 39% delle persone sopra i 75 anni vive da solo. Una bomba demografica, economica e spirituale.
Dalla clinica al territorio: un nuovo welfare possibile
La prescrizione sociale cambia le coordinate: trasforma la sanità in una rete territoriale, dove il benessere si costruisce fuori dalle mura ospedaliere, grazie a biblioteche, orti urbani, corsi di musica, gruppi di cammino. Ma attenzione: non si tratta di volontariato “alla buona”. Ogni attività è mappata, verificata, integrata con i servizi pubblici.
In un’epoca in cui si parla tanto di “welfare aziendale” e “impatto ESG”, la social prescribing è un invito potente: e se la prossima grande rivoluzione economica passasse per il quartiere?
Il ROI delle relazioni
Un recente studio del King’s Fund britannico mostra che ogni sterlina investita in prescrizione sociale genera un ritorno medio di 2,5 in termini di salute pubblica e produttività. Le aziende dovrebbero prestare molta attenzione: una popolazione sola è una popolazione meno produttiva, meno creativa, più costosa da gestire. I governi, nel frattempo, spendono miliardi per contenere le conseguenze dell’isolamento, ma quasi nulla per prevenirle. Il valore della comunità non è solo affettivo. È economico, strategico, resiliente. E va coltivato come un’infrastruttura pubblica: capillare, accessibile, abilitante.
Capitalismo relazionale?
In un mondo frammentato, la coesione sociale non è più un lusso. È una condizione abilitante per la competitività. Iniziamo a vederne i segnali: città che puntano sulla rigenerazione comunitaria, aziende che investono in spazi ibridi, Stati che mappano le solitudini come si mappano i rischi sismici.
La domanda non è più se possiamo permetterci di costruire relazioni. Ma se possiamo permetterci di farne a meno.
Un futuro scritto insieme
Prescrivere socialità è un atto radicale. È dire: “la tua cura non sta solo in te, ma anche nell’altro”. È un messaggio profondo per ogni sistema – medico, politico, aziendale – che ha ridotto l’individuo a produttore o paziente. Oggi la social prescribing è una buona pratica. Domani sarà una politica industriale. In fondo, la vera ricchezza nazionale è la capacità delle persone di stare bene insieme. Costruire un’economia della cura, non puoi più ignorare la solitudine. Perché i prossimi “dati da monitorare” potrebbero essere i legami umani.