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La diga del dragone: energia, dominio e sfida all’India sull’Himalaya

Nel cuore dell’Himalaya, la Cina sta costruendo la diga più ambiziosa della sua storia. Un’opera titanica, in grado di generare più energia delle Tre Gole, ma che rischia di trasformare il Brahmaputra in un’arma geopolitica. Tra ingegneria estrema, tensioni con India e Bangladesh e assenza di accordi internazionali, il controllo dell’acqua diventa una nuova forma di potere. Nel nuovo articolo di Punti Cardinali esploro questo nodo strategico, ancora poco noto ma cruciale per il futuro dell’Asia meridionale.

Mentre le attenzioni globali si concentrano su Taiwan, il Mar Cinese Meridionale e le dispute commerciali tra Pechino e Washington, una nuova partita strategica si gioca in silenzio, a oltre quattromila metri di altitudine. Il suo teatro è l’Himalaya, il suo protagonista è un fiume maestoso quanto sconosciuto: lo Yarlung Tsangpo, che in India prende il nome di Brahmaputra e in Bangladesh diventa Jamuna. Il simbolo? Una mega-diga che promette energia pulita, ma che rischia di stravolgere equilibri idrici, ambientali e politici in una delle aree più instabili dell’Asia.

L’ultima scommessa cinese

La Cina ha annunciato la costruzione di un impianto idroelettrico senza precedenti nella regione del Tibet, una diga che supererà per capacità produttiva persino la colossale Diga delle Tre Gole. Il progetto sorgerà nella Grande Ansa dello Yarlung Tsangpo, un punto in cui il fiume compie una vertiginosa inversione a U precipitando per oltre duemila metri attraverso il canyon più profondo del pianeta. Obiettivo: generare oltre 300 miliardi di kWh all’anno, una quantità sufficiente ad alimentare l’intera Germania.

Con un costo stimato di 137 miliardi di dollari, l’opera rappresenta uno degli assi portanti della strategia climatica di Xi Jinping, che punta al picco delle emissioni entro il 2030 e alla neutralità carbonica entro il 2060. Ma il progetto è anche una dichiarazione di potenza: la capacità di dominare la natura, le altitudini, le risorse.

Il fiume più alto del mondo e il cuore idrico del Tibet

Lo Yarlung Tsangpo è il fiume principale più elevato al mondo. Attraversa l’altopiano tibetano per oltre 1600 km a un’altitudine media di 4000 metri, prima di piegare verso sud e diventare Brahmaputra. Il Tibet, poco popolato ma strategico, concentra circa il 30% del potenziale idroelettrico della Cina, ancora quasi interamente inutilizzato.

L’area scelta per la diga è tra le più isolate e complesse del pianeta, eppure è proprio qui che Pechino intende incanalare l’energia del futuro, forando montagne e deviando il corso di un fiume millenario.

Ingegneria estrema su faglie instabili

Il progetto prevede tre tunnel di 34 km ciascuno, da scavare sotto il monte Namcha Barwa, per sfruttare un dislivello di 2400 metri. Ma la regione è una polveriera geologica: teatro della collisione tra le placche indiana ed eurasiatica, è tra le più sismicamente attive al mondo. Terremoti superiori a magnitudo 8 sono frequenti. Il rischio di frane, valanghe e sollevamenti crostali è elevatissimo. Il Namcha Barwa stesso cresce di sei centimetri l’anno: un incubo per qualunque ingegnere.

India e Bangladesh: quando l’acqua diventa potere

A valle, il timore è palpabile. India e Bangladesh dipendono dal Brahmaputra per agricoltura, pesca e acqua potabile. La deviazione del fiume potrebbe intrappolare sedimenti vitali, ridurre la fertilità dei terreni, accelerare l’erosione e compromettere la biodiversità. In Bangladesh, anche una riduzione del flusso del 5% può significare un crollo del 15% nella produzione agricola.

Ma la vera paura è geopolitica: la diga conferirebbe alla Cina un potere di leva enorme. In un futuro segnato dalla scarsità d’acqua, trattenere o rilasciare flussi idrici a monte potrebbe diventare uno strumento di pressione politica.

Una diga, tre Paesi e nessuna regola

Non esiste alcun trattato che regoli la condivisione delle acque tra Cina, India e Bangladesh. Pechino ha agito unilateralmente, senza consultazioni. Il precedente del Mekong è eloquente: le dighe cinesi a monte hanno alterato gli equilibri idrici a valle, penalizzando Vietnam, Cambogia e Thailandia. Per Delhi e Dacca, la fiducia nelle rassicurazioni cinesi è prossima allo zero.

Sebbene solo il 30% del flusso del Brahmaputra abbia origine in Tibet, il controllo di quella quota durante le stagioni secche può fare la differenza tra scarsità e crisi.

Confini caldi, infrastrutture e militarizzazione

La posizione della diga è cruciale: a ridosso della Linea di Controllo Effettivo (LAC), il confine de facto tra Cina e India, nel conteso Arunachal Pradesh. L’India teme che la Cina stia rafforzando la propria capacità logistica e militare nell’area, sotto la copertura di un progetto energetico.

In risposta, Delhi ha annunciato la costruzione di una propria diga sul fiume Siang, nel tentativo di creare un bacino di compensazione. Ma questa mossa rischia di aggravare la situazione per il Bangladesh, che si ritroverebbe a valle di due progetti colossali e divergenti.

Una scommessa himalayana ad alta tensione

La Cina prevede di completare l’opera entro il 2033. La posta in gioco va oltre i chilowattora: si tratta di una sfida tra modelli di sviluppo, tra potenze emergenti, tra visioni di controllo e cooperazione. In un tempo in cui l’acqua diventa oro blu, la diga del dragone potrebbe trasformarsi in una diga della discordia. L’Himalaya, ancora una volta, si conferma non solo il tetto del mondo, ma anche il suo campo minato geopolitico.

Davide Maestri

Davide Maestri è un imprenditore e advisor strategico con una ventennale esperienza in crescita aziendale, corporate finance e trasformazione d’impresa. Laureato in Scienze Politiche ed Economiche con specializzazione in Comunicazione d’Impresa e Marketing, ha conseguito un Master in Management e Sport Management e un diploma post-laurea ISPI in Geopolitica e Relazioni Internazionali. Ha affiancato corporate, fondi e istituzioni nella definizione di strategie di crescita, governance e posizionamento, guidando operazioni di exit, IPO e raccolte capitali multimilionarie, in contesti ad alta complessità e scenari geopolitici in evoluzione. Ha collaborato con multinazionali, società di consulenza globale e fondi d’investimento su progetti di M&A, sviluppo di nuovi modelli di business, valorizzazione di asset strategici e ristrutturazioni aziendali. Con un approccio che integra visione macro-strategica ed execution operativa, ha operato in 13 mercati tra Europa, Stati Uniti e Medio Oriente, accompagnando oltre 380 talenti nel loro sviluppo. È noto per la sua capacità di leggere i sistemi complessi, anticipare trend e costruire ecosistemi a impatto positivo. Oltre alle sue aziende Talents Court e Wise Gate, nel settore non profit è senior partner di Grateful Foundation ETS, think tank dedicato alla promozione dell’Economia Sferica e della centralità della persona. È autore del libro "Talents Court. Strategie per allenare il talento" (2023) e fondatore di Punti Cardinali (2025), piattaforma editoriale che integra contenuti strategici, analisi e visione sul futuro. info@maestridavide.com
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