Attenzione a ciò che scrivete online. Quella che fino a poco tempo fa sembrava una semplice critica o un'espressione di dissenso, oggi rischia di trasformarsi in una vera e propria trappola legale ed economica. Stiamo assistendo a un fenomeno inquietante: la "diffamazione a scopo di lucro", un modello di business che si sta diffondendo tra alcuni personaggi pubblici e studi legali, a danno di anche di ignari cittadini. Ma attenzione, non bisogna mai commentare con odio, diffamare o minacciare nessuno, che si tratti di personaggi pubblici o meno. Su questo punto, siamo totalmente d'accordo con la necessità di difendere la persona lesa. La trappola che sfrutta la paura Il meccanismo è subdolo e si basa su un preciso accordo tra il personaggio pubblico e lo studio legale. L'obiettivo non è più tutelare la reputazione, ma soprattutto generare profitto. Alla base, infatti, ci sono veri e propri accordi economici tra le parti, in cui il personaggio pubblico non anticipa alcuna spesa, ma ottiene una percentuale sui ricavi ottenuti dallo studio legale. Questa prassi solleva un interrogativo: il patto di quota lite, che prevedeva un compenso basato sulla percentuale dell'affare, non era stato vietato? Questo sistema si è trasformato in una vera e propria catena di montaggio con fatturati milionari, a danno di cittadini spesso ignari. Non è che questi utenti, anche se hanno torto, vengono provocati da contenuti volutamente urticanti, per essere spinti a commentare con toni diffamatori, trasformandosi in bersagli per le azioni legali e, di conseguenza, in fonte di guadagno? Come avviene la procedura: Monitoraggio e provocazione: il personaggio, in accordo con lo studio legale, monitora costantemente i commenti sui propri profili social. Spesso, per massimizzare le "opportunità", pubblica contenuti volutamente provocatori e polarizzanti, con l'intento di innescare una valanga di reazioni negative. Identificazione e diffida: una volta individuati i commenti potenzialmente diffamatori, lo studio legale si attiva per identificare l'autore, talvolta anticipando le spese investigative. A quel punto, invia una diffida formale minacciando un'azione legale. Questa lettera, redatta in termini legali stringenti, ha un unico scopo: intimorire. Il risarcimento-trappola: il destinatario, spaventato dalla prospettiva di un lungo e costoso processo penale, finisce quasi sempre per accettare il pagamento di una somma di denaro per "chiudere la faccenda". Si stima che le richieste economiche si aggirino intorno a qualche migliaio di euro. I proventi di questi accordi extragiudiziali vengono poi divisi tra il personaggio pubblico e lo studio legale. Questo sistema trasforma la giustizia in una macchina per fare soldi, strumentalizzando le norme sulla diffamazione per un guadagno illecito. La questione etica e il ruolo degli Ordini degli Avvocati Questo fenomeno solleva seri interrogativi etici e professionali. Un avvocato ha il dovere di tutelare il proprio cliente, ma non può utilizzare la legge come uno strumento per fare soldi, intimidendo cittadini che non hanno le risorse per difendersi. L'agire non etico rischia di minare la credibilità dell'intera professione forense. Per questo motivo, è fondamentale che gli Ordini degli Avvocati si attivino per fare chiarezza. È urgente avviare verifiche su questi "business del risarcimento", per accertare che non violino il Codice di Deontologia Forense. Il loro compito è garantire che la giustizia non sia una merce, e che il diritto di parola, se esercitato in maniera critica, non venga soffocato da minacce velate. L'appello ai cittadini: non cadere nella trappola Come consumatori e cittadini, è fondamentale essere consapevoli dei rischi e delle responsabilità che si celano dietro uno schermo. Riflettete prima di postare: un commento impulsivo può avere conseguenze molto pesanti. Prima di scrivere, chiedetevi se ciò che state per pubblicare rientra nel legittimo diritto di critica (basato su fatti veri, interesse pubblico e linguaggio civile) o se sconfina nella diffamazione. Non abboccate alle provocazioni: se un post sembra volutamente aggressivo o polarizzante, il modo migliore per non cadere nella trappola è non rispondere con un commento che attacchi la persona, ma che si limiti a discutere i fatti. Cercate assistenza legale: se ricevete una diffida legale, non fatevi prendere dal panico. Consultate un avvocato per capire se il vostro commento configura realmente il reato di diffamazione. Un buon legale vi aiuterà a valutare la situazione e a non farvi intimidire. I social media sono una straordinaria opportunità, ma stanno diventando anche un campo minato. La prudenza e la consapevolezza sono le uniche armi che abbiamo per navigare in un ambiente sempre più complesso e, purtroppo, sfruttato. Nel caso vi trovate in questa situzione potete scrivere a CONSUMERISMO.IT utlizzando il form dei contati sottostante.