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H&M ricicla male anche le informazioni? Inchiesta svedese per ipotesi Greenwashing

Sono molti i brand che si sono macchiati e continuano a macchiarsi di greenwashing. Un errore in buona fede? Quelli che lo fanno, spesso sono recidivi e quando certe azioni diventano un leitmotiv a danno di consumatori e delle consumatrici, smettere di fidarci è la prima conseguenza che ne deriva.

H&M, noto brand di fast fashion, non è nuovo alle pratiche di greenwashing ma sempre più attenti e attente, nonché competenti  sulle tematiche relative alla sostenibilità, questi casi li iniziamo a notare.

Il colosso svedese sponsorizza dal 2013 un programma di ‘Garment collecting’, economia circolare, e sono visibili sul sito ufficiale le informazioni del progetto “Let’s close the loop”, che promuove il riciclo e riuso dei capi, invitando tutti e tutte noi a riportare indietro gli indumenti dismessi, ottenendo un buono sconto di 5 €.

Fonte HM

Sempre nelle loro pagine, ci comunicano con trasparenza, dove finiranno i nostri capi a seconda della loro condizione:

1- vendita nei mercati dell’usato;

2- conversione in prodotti diversi, il cosiddetto upcycling;

3- riciclo dei tessuti, per cui recycling.

Dalle informazioni rilasciate sul sito dallo stesso brand, i capi vengono smistati, grazie alla collaborazione con il partner I:Collect, presso centri di smistamento.

La catena di moda promette che i capi che potranno essere indossati nuovamente, verranno rivenduti. Ma non viene però fornita alcuna informazione su dove finiscono.

STRATEGIA SOSTENIBILE O GREENWASHING?

Sembrerebbe una buona strategia di marketing e di comunicazione di sostenibilità, seppur non originalissima, verso noi consumatori e consumatrici, nonché per l’azienda stessa; infatti rientra in un modello sostenibile di economia circolare con grandi potenzialità, toccando la sfera della sostenibilità ambientale (attraverso il riciclo e riuso dei capi), sociale (con l’educazione al riciclo ed un aiuto economico sui futuri acquisti); ed economica (grazie al buono sconto, quasi sicuramente avremo acquistato un nuovo capo in quello store, con una maggiore spinta e fidelizzazione verso il brand).

In altre parole, quella che avrebbe potuto essere una buona strategia di marketing di sostenibilità, grazie ad un’indagine giornalistica, condotta dal giornalista Staffan Lindberg, per il quotidiano svedese Aftonbladet, si è scoperto essere l’ennesima azione di greenwashing a danno della società, dell’ambiente per un puro ritorno economico dell’azienda.

Lindberg lo scorso inverno ha depositato 10 capi in diverse condizioni, tutti in buono stato, uno persino con il cartellino ancora inserito, nelle scatole di raccolta poste negli store dell’azienda svedese, ma al loro interno ha dotato ogni capo di AirTag (tecnologia che traccia gli spostamenti degli oggetti in cui sono inseriti),, per poter così monitorare il percorso dei dieci indumenti.

Nel giro di poche settimane, i capi lasciano la Svezia, e finiscono in tre diversi impianti di smistamento, nessuno però corrisponde agli indirizzi di ICollect, il partner citato da H&M. Vengono invece venduti a tre diverse società che smistano ed esportano indumenti second hand.

Il giornalista viene a sapere che in questi siti, la maggior parte viene compressa in grandi balle, pronte per l’esportazione in container e le parti logorate, vengono diluite per essere riciclate in fibre tessili o prodotti industriali, mentre una parte più piccola viene bruciata. Non proprio quello che ci avevano detto, chiedendoci di partecipare a questa iniziativa; non dimentichiamo che l’industria della moda rappresenta circa il 10% delle emissioni totali di anidride carbonica del mondo.

Solo dopo cinque settimane si rilevano i primi spostamenti, verso la Polonia, in Africa ed uno dei capi, dopo un lungo tragitto in mare, è stato rilevato in un paese del Benin, noto per essere uno dei luoghi in cui vengono ammassati capi inutilizzati, spesso invendibili in zone molto calde, come ad esempio una giacca invernale.

Eppure H&M ci aveva promesso di preservare, grazie al nostro contributo, l’ambiente e la società in cui viviamo; invece in un’ottica totalmente INsostenibile, con i nostri indumenti, lasciati per un fine sostenibile, ha attuato una vera e propria azione di greenwashing.

Cosa ci aspettiamo dalle aziende? “Autenticità”, un concetto alla base delle azioni di marketing e della comunicazione sostenibile che la nostra società e il nostro ambiente merita. 

 

Laura Ruggiero

Digital Strategist, Sustainability Communication Strategist e Influencer Marketing Expert. Responsabile del marketing digitale e della comunicazione per Sostenabitaly, ha ideato campagne nazionali e internazionali del calibro di Gladiator Live in Rome, Non Chiamateci Eroi e Put it on screen. Formatrice e docente dal 2015, è l’ideatrice dell’Exsense Marketing e dell’Hive Method. Tiene corsi per aziende e università, nonché lezioni rivolte ai giovani, sulla digitalizzazione e la sostenibilità, presso istituti scolastici.
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