L’anello debole del sistema economico: costi e inefficienze
La crisi economica che il nostro Paese sta attraversando non è solo un fenomeno ciclico, ma il risultato di una serie di scelte e di inefficienze strutturali. Se le imprese chiudono e la delocalizzazione si fa sempre più pressante, la responsabilità non ricade unicamente su fattori esterni. Un’analisi attenta fa puntare il dito contro un sistema che, anziché sostenere il tessuto produttivo, lo sta soffocando con costi insostenibili. In particolare, i costi legati ai servizi di rete e infrastrutture – energia elettrica, gas, acqua, trasporti, rifiuti e telecomunicazioni – hanno raggiunto livelli ingiustificati, ben oltre la media internazionale.
Il paradosso è che mentre le imprese produttive faticano a restare a galla, le società che gestiscono questi servizi, molte delle quali a partecipazione pubblica, prosperano. Queste aziende, come Terna, E-Distribuzione, SNAM, ENEL, Ferrovie, A2A, ACEA, POSTE, e compagnia cantanate, operano in un contesto di rischio imprenditoriale nullo, garantendosi profitti che non sembrano giustificati né dalle dinamiche di mercato né da fattori esterni. I loro bilanci, in costante crescita, si reggono su tariffe che gravano pesantemente sui costi operativi delle aziende e sulle tasche dei cittadini. In altri modelli economici, sarebbero aziende fantasma e probabilmente farebbero la fine di BlockBuster.
La politica e l’ombra della mancata vigilanza
La politica ha una responsabilità enorme in questo scenario. Invece di agire come organo di controllo e garanzia, sembra aver abdicato al suo ruolo, delegando la gestione di servizi essenziali a figure spesso inadeguate. Politici privi di una solida preparazione in materia di servizi e infrastrutture si sono ritrovati a negoziare con interlocutori estremamente pervasivi, finendo per allentare le maglie della prevalenza della politica, soprattuto nei confronti di società miste o a partecipazione pubblica. Questo ha permesso ai gestori di rete di operare in un regime di quasi monopolio, senza una reale concorrenza o una vigilanza efficace e a manager più attenti alla loro buona uscita, di passare da una società all’altra per il solo piacere del rialzo della RAL.
A peggiorare la situazione, le nomine all’interno delle autorità di regolazione (Authority) sono state spesso basate su logiche partitiche o di interesse, piuttosto che sulla competenza. Queste autorità, che dovrebbero fungere da baluardo a tutela del mercato e dei consumatori, hanno mostrato una palese mancanza di anticorpi, diventando complici, talvolta involontari, di uno sfacelo che oggi tutti paghiamo. Oggi i collegi e molte direzioni sono sotto il totale controllo di gruppi d’interesse attraverso uomini e donne chiave.
È emblematico che l’agenda politica e persino le domande durante le audizioni pubbliche sembrino essere dettate proprio da quei gestori o dai loro rappresentanti, in un chiaro conflitto di interessi che mina alla base qualsiasi possibilità di riforma.
Un futuro compromesso dai bonus e dai sussidi
Un’altra grave responsabilità politica risiede nella gestione dei bonus e dei sussidi. Invece di investire in settori produttivi o in innovazione, ingenti risorse pubbliche sono state canalizzate verso queste stesse società, gonfiando ulteriormente i loro bilanci. Si è verificato un trasferimento di ricchezza dai settori più dinamici a quelli di rete, che, grazie a questa politica, si sono trovati ad essere gli unici veri beneficiari dei provvedimenti governativi.
Questo meccanismo perverso ha distolto fondi preziosi, accelerando il declino di settori vitali per l’economia.
La via d’uscita: competenza, etica e meritocrazia
Per invertire la rotta, è indispensabile agire su più fronti. La prima mossa, per quanto radicale, deve essere un cambio di rotta nella governance politica, che significa responsabilizzare i politici per le loro scelte. È cruciale rafforzare l’indipendenza e la competenza delle autorità di regolazione, garantendo che le nomine siano basate sul merito e non sull’appartenenza politica.
Inoltre, è urgente una revisione completa delle tariffe regolate. Non è più accettabile che i profitti ingiustificati dei gestori vengano assorbiti dal sistema im-produttivo. Gli utili devono essere ridistribuiti in modo equo, magari attraverso una tassazione mirata sui profitti dei fondi di investimento speculativi, anziché gravare sugli azionisti comuni o sulle imprese.
Infine, va affrontata la mancanza di un management di qualità. Le carriere all’interno di queste società non possono più basarsi su conoscenze e relazioni, ma devono premiare la competenza e l’etica professionale. Come sosteneva Piero Angela, la politica non genera ricchezza, ma il fatto che la stia sperperando è un dramma per un Paese in grave difficoltà come il nostro.
Solo con una riforma profonda che rimetta al centro la competenza, l’etica e la vigilanza, potremo sperare di uscire dalla crisi e di ridare ossigeno al nostro tessuto produttivo.