
Ogni italiano continua a gettare nella pattumiera più di mezzo chilo di cibo alla settimana. Secondo il Rapporto 2025 di Waste Watcher International, presentato a Roma in occasione della Giornata internazionale di consapevolezza sulle perdite e gli sprechi alimentari, gli sprechi domestici medi si attestano a 555,8 grammi a persona alla settimana.
Il dato è in calo rispetto al 2024 (-18,7%) e segna un miglioramento evidente rispetto al 2015, quando si superavano i 650 grammi. Nonostante i progressi, l’Italia resta sopra la media europea e distante dall’obiettivo fissato dall’Agenda Onu 2030, che prevede il dimezzamento degli sprechi entro la fine del decennio e un target di 369,7 grammi.
Il quadro europeo mostra chiaramente il ritardo italiano: Germania 512,9 grammi, Francia 459,9, Spagna 446,5 e Paesi Bassi 469,5. Anche se la riduzione è significativa, i 28,9 chili annui di cibo sprecato per cittadino restano un peso enorme, sia economico che ambientale. L’inflazione alimentare (+3,7% nell’estate 2025, +3,8% ad agosto secondo Istat) ha spinto verso scelte più consapevoli, ma non basta. Lo spreco rappresenta infatti oltre 1,7 milioni di tonnellate di alimenti all’anno, pari a 3,4 miliardi di pasti da 500 grammi, sufficienti a sfamare più di 3 milioni di italiani in povertà alimentare.
Le differenze territoriali rivelano un’Italia a due velocità: al Centro si sprecano 490 grammi a settimana, al Nord 515, mentre il Sud si conferma fanalino di coda con 628. Le famiglie con figli risultano più virtuose (-17%), così come i residenti dei grandi centri urbani (-9%). Frutta fresca, verdura, pane e insalata sono i cibi che più finiscono nei rifiuti, spesso a causa di cattiva conservazione (37%), dimenticanza (31%) o offerte troppo allettanti che spingono ad acquistare più del necessario (29%).
A livello globale, la dimensione dello spreco è impressionante: ogni anno si buttano 1,05 miliardi di tonnellate di cibo, un terzo della produzione alimentare complessiva. Le famiglie generano il 60% degli sprechi e in Europa ogni cittadino spreca circa 70 kg di cibo in casa e 12 nei ristoranti, con un costo totale di 132 miliardi di euro. Oltre al danno economico c’è quello ambientale: quasi il 10% delle emissioni globali di gas serra deriva dagli sprechi alimentari, cinque volte di più rispetto all’aviazione civile. Il 28% dei terreni agricoli e un quarto dell’acqua dolce del pianeta vengono utilizzati per produrre cibo che non sarà mai consumato.
Un elemento positivo arriva dalla Generazione Z, che si dimostra più attenta e responsabile. I giovani nati tra il 1997 e il 2012 sprecano il 22% in meno dei boomers e il 15% in meno dei Millennials. Utilizzano il digitale per gestire meglio gli acquisti e i pasti: il 72% si serve di app per la spesa, il 61% ha scaricato lo Sprecometro, il 45% partecipa a community antispreco. Prediligono prodotti locali e stagionali, riducono il consumo di carne e riutilizzano gli scarti in cucina. Secondo Andrea Segrè, fondatore della campagna Spreco Zero, la Gen Z rappresenta un laboratorio di buone pratiche da diffondere anche alle generazioni meno digitali.
In Italia si sperimentano anche soluzioni innovative. Planeat, start up fondata dal fisico Nicola Lamberti, ha introdotto il progetto MensSana nelle mense scolastiche di Borgarello, in provincia di Pavia. Coinvolgendo famiglie e studenti nella scelta delle porzioni, è stato possibile ridurre del 20% la produzione di cibo e abbattere gli sprechi in sala fino al 52%. Un modello replicabile che coniuga sostenibilità, efficienza economica e innovazione digitale, pronto a supportare le istituzioni con dati tracciabili utili ai report ESG e agli obiettivi europei.
Per i consumatori, ridurre lo spreco significa tagliare costi e contribuire concretamente alla sostenibilità. Alcune pratiche semplici possono fare la differenza: pianificare i pasti in anticipo, conservare correttamente gli alimenti, acquistare meno quantità ma più spesso, congelare ciò che rischia di andare a male e imparare a cucinare con gli avanzi. Lo dimostra anche il fatto che chi applica questi accorgimenti spende meno e contribuisce a ridurre l’impatto ambientale.
Il messaggio del Rapporto è chiaro: l’Italia ha compiuto passi avanti, ma la strada per raggiungere i target europei e internazionali è ancora lunga. La consapevolezza cresce, alimentata da crisi economiche, guerre e cambiamenti climatici, ma serve trasformarla in comportamenti quotidiani. Il 2030 non è lontano e la sfida riguarda tutti: famiglie, istituzioni, imprese e comunità.