Iniziative

Cibo e vestiti divenatano isole di plastica nei mari

Il Presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele, incontra gli studenti dell’Istituto Fermi di Tivoli all’interno del progetto FARE di Road to greenv 2020

FARE – Formazione Arte Rispetto Esperienza è il percorso educativo presentato dall’associazione no profit Road to green 2020 mirato a sensibilizzare i più giovani nei confronti di tematiche ambientali e sociali. Il progetto è finanziato da Regione Lazio, co-finanziato dall’UE e destinato agli studenti delle scuole ISS Piaget-Diaz (Roma) e ITCG Enrico Fermi (Tivoli). 

Road to green 2020 ha predisposto un calendario di incontri con gli alunni delle due scuole superiori, durante i quali i ragazzi hanno avuto la possibilità di confrontarsi con avvocati, medici, professionisti del settore green ed esponenti del mondo delle arti e dello spettacolo.

Il Presidente di Consumerismo, , ha tenuto una lezione incentrata sul junk fashion e junk food.

Cosa state indossando?

Questa la prima domanda posta da Gabriele, che ha invitato i ragazzi a controllare le etichette dei propri abiti, andando, così, a identificare le materie prime che li compongono. Si tratta di materiali sintetici o naturali? Quanto impattano sull’ambiente i primi e quanto i secondi? Gabriele ha fatto notare come perfino i tessuti naturali richiedano un ampio consumo di acqua e sostanze chimiche per lavaggi e tinture.
Il primo esempio riportato è stato quello dei classici jeans, la cui produzione di ogni singolo pezzo richiede circa 7000 litri di acqua. Inoltre, i paesi di produzione di questi sono quasi sempre da rintracciare nel sud est asiatico, in paesi come India, Bangladesh, Pakistan o Cina. Luoghi dove è ormai abitudine sfruttare lamanodopera, violare i diritti umani ed ignorare le regole di tutela ambientale.

Dai negozi di fast fashion alle isole di plastica

Un altro punto cruciale della lezione è stato dedicato alle gigantesche isole di rifiuti a largo degli oceani. Gabriele ha spiegato come la causa di queste enormi dune di “stracci” sia causata dal breve ciclo di vita dei capi di abbigliamento. Mentre, un tempo, si aveva una moda stagionale con quattro collezioni per anno, oggi il fast fashion propone nuovi arrivi tutte le settimane, accorciando il ciclo delle tendenze e, di conseguenza, degli stessi abiti. Una moda usa e getta, realizzata con materie prime di scarsa qualità che rilasciano micro plastiche ad ogni lavaggio, inquinando ulteriormente le acque di fiumi e mari. Ogni anno, infatti, vengono prodotte 300 mila
tonnellate di abiti dismessi che rendono l’industria del fashion la più inquinante al mondo, seconda solo a quella del petrolio.

Il parallelismo con il junk food

La lezione si è chiusa con un parallelismo fra il junk fashion ed il junk food.
Potremmo, infatti, definire il Fast Fashion ed i Fast Food i due grandi “mali” della società odierna. Cibi industriali, con altissima percentuale di grassi saturi e zuccheri ed una bassissima percentuale di nutrienti. Hamburger e patatine fritte: il binomio americano per eccellenza. Si tratta di cibi pensati per ingannare il cervello e ritardare la sensazione di sazietà. È infatti dimostrato come questi alimenti ci facciano credere di avere molta più fame di quanta non ne abbiamo davvero.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
RICHIEDI ASSISTENZA