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Etichetta bugiarda. “Il glossario” delle parole di cui diffidare quando fai la spesa

Le etichette alimentari sono come opere d'arte moderne, riempite di colori accattivanti e slogan promettenti, ma spesso celano dietro di sé una realtà distorta. Barbara Molinario, Segretario Generale dell'Associazione Consumerismo, solleva il velo su questo intricato labirinto di informazioni parziali e contraddittorie che popolano gli scaffali dei supermercati.

Il fenomeno

Possiamo considerare, ad esempio, le etichette che collegano la riduzione del colesterolo ai minori grassi saturi di un alimento, o che promuovono l’importanza dell’assunzione di calcio per mantenere le ossa in salute. Tuttavia, la diffusione di frasi pubblicitarie così ridondanti e talvolta fuorvianti ha portato alcuni consumatori, soprattutto gli spettatori televisivi, a dare per scontate le informazioni pubblicitarie, ancora prive di prove scientifiche. Possiamo menzionare, ad esempio, il the verde e il suo presunto effetto di normalizzazione della pressione arteriosa, o le virtù “miracolose” attribuite dalla vox populi alla pappa reale.

I motivi per il qualescegliamo i prodotti

Sempre più consumatori sono attenti alla qualità degli alimenti con i quali riempiono i propri carrelli della spesa e, di conseguenza, mostrano una maggiore propensione a leggere attentamente le etichette dei prodotti alimentari che acquistano. Tuttavia, nonostante questo crescente interesse, molti consumatori vengono ancora ingannati da dichiarazioni fuorvianti evidenziate sulle confezioni, dove una valutazione più accurata delle informazioni potrebbe rivelare discrepanze rispetto alle promesse di benefici per la salute pubblicizzate. Negli ultimi tempi, si è assistito a una crescente attenzione verso le nuove tipologie di etichette, che vanno dalle informazioni nutrizionali stampate sul fronte del pacco, ai consigli sull’utilizzo del prodotto in relazione all’attività fisica svolta, includendo anche le etichette ambientali sugli imballaggi. Benché queste iniziative siano positive, è importante considerare che un eccessivo numero di etichette, se non standardizzato e uniforme, potrebbe confondere il consumatore, spingendolo ad affidarsi impulsivamente alle promesse dei produttori che sembrano più credibili o in linea con le sue convinzioni personali.

Quali sono, dunque, le diciture più abusate dall’industria alimentare? E perché dovremmo essere cauti nel fidarci di esse? Al primo posto della lista troviamo il termine “naturale”. Questa parola è tra le più utilizzate sugli scaffali dei supermercati insieme ad altri aggettivi che suggeriscono genuinità, ma vengono attribuiti ad alimenti che, in realtà, contengono additivi, sostanze chimiche e ingredienti sintetici, o che sono comunque prodotti artificialmente.

Le parole

“Integrale” è una definizione soggetta ad un uso altrettanto ambiguo, poiché può essere applicata anche alle confezioni di prodotti da forno come biscotti, fette biscottate e cracker. Questi prodotti possono contenere una combinazione di farina integrale e farina raffinata, oppure possono avere crusca o cruschello aggiunti in un secondo momento.

Tra i messaggi pubblicitari più comuni riguardanti lo zucchero, troviamo quelli che enfatizzano la sua assenza: “Senza zuccheri aggiunti” che è un’espressione diversa da “senza zucchero”. La dichiarazione “senza zucchero” può essere veritiera solo se applicata a prodotti che contengono una concentrazione di zucchero non superiore allo 0,5%. E “Senza zuccheri aggiunti”? Significa che non sono stati aggiunti monosaccaridi o disaccaridi, come saccarosio, glucosio, fruttosio, o altri dolcificanti alimentari.

Le indicazioni come “A base di…” o “Preparato di” possono essere estremamente ambigue. È importante prestare attenzione ai prodotti che evidenziano la presenza di un ingrediente specifico sulla confezione, magari con grandi caratteri o immagini. In questi casi, è consigliabile leggere attentamente l’elenco degli ingredienti per comprendere la reale percentuale di quel componente all’interno della ricetta. Un esempio lampante è l’olio extravergine d’oliva, spesso pubblicizzato in modo prominente sulla parte anteriore dell’imballaggio, ma che può essere presente in quantità minima nella lista degli ingredienti sul retro, molto inferiore rispetto ad altri oli, quasi sempre di semi, meno costosi.

Quanto alla dicitura “al sapore di…“, è importante interpretarla correttamente come una dichiarazione che il prodotto non contiene l’ingrediente menzionato, ma solo il suo sapore, spesso ottenuto artificialmente. Un esempio, possiamo trovare dello yogurt “al sapore di frutti rossi” che sarà solo aromatizzato e con percentuale di frutta davvero bassissima. Allo stesso modo, sono fuorvianti le indicazioni “con frutta” e “con succo di frutta”, spesso accompagnate da immagini accattivanti sulla confezione, sebbene il contenuto effettivo di frutta sia scarso. Nel mondo delle bevande la quantità minima di frutta è stabilita per legge in base alla tipologia (nettare, succo, bevanda a base di), ma per il consumatore può essere difficile distinguere tra le diverse categorie. Senza leggere l’etichetta, si rischia di credere di acquistare un succo puro al 100%, quando in realtà si tratta di una “bevanda a base di succo”, contenente principalmente acqua, zucchero e solo il 20% di succo di frutta. Esistono anche le cosiddette “bibite di fantasia”, dove il gusto della frutta è ottenuto inserendo una quantità minima o con l’aggiunta di aromi che ricordano il sapore della frutta.

Il ruolo delle immagini

In aggiunta alle informazioni testuali, anche le immagini possono risultare fuorvianti. Un esempio emblematico è rappresentato dal testo pubblicitario “uova da galline allevate a terra”, accompagnato da immagini idilliache di campi e pascoli verdi, che danno l’illusione di uno scenario più naturale di quello reale. Questa rappresentazione visiva è utilizzata dal marketing per suggerire che le uova provengano da galline libere di muoversi all’aperto, mentre in realtà il termine “terra” si riferisce semplicemente al pavimento dei capannoni in cui gli animali sono confinati. Per proteggere i consumatori, sono stati introdotti regolamenti sempre più rigorosi negli ultimi anni. Tuttavia, finché non sarà sviluppato un sistema di valutazione uniforme, almeno a livello europeo, per garantire la conformità delle etichette e determinare le relative responsabilità, spetterà alle associazioni dei consumatori come Consumerismo segnalare le eventuali violazioni del principio di trasparenza nell’industria alimentare e promuovere una consapevolezza autentica riguardo ai prodotti acquistati.

Il miele, purtroppo, non è immune dalla contraffazione, con Cina e Bulgaria che rappresentano i principali centri di questa attività illecita. Tuttavia, come sottolinea Molinario, i modi in cui avviene la contraffazione possono variare. La minaccia più significativa proviene dalla Cina, dove la contraffazione basata sullo sciroppo di riso è particolarmente insidiosa, poiché gli zuccheri contenuti sono così simili a quelli naturali del miele che persino le analisi isotopiche, le più accurate disponibili, trovano difficile rilevarla. Non solo, i metodi utilizzati per adulterare il miele sono in costante evoluzione e, purtroppo, i test analitici non riescono sempre a tenere il passo. Ma da dove nasce questa problematica? L’adulterazione avviene quando il miele viene mescolato con sciroppo di zucchero. Un consiglio per i consumatori: prestate molta attenzione all’origine del prodotto e, se possibile, optate per il miele italiano. Infatti, l’Italia vanta la più ampia varietà di mieli al mondo.

Come difendersi

Il modo migliore per i consumatori di proteggersi rimane quello di leggere attentamente le etichette, valutando le informazioni veramente rilevanti, come la lista degli ingredienti e il loro ordine, ricordando che sono elencati in ordine decrescente dal più presente al meno presente, tenendo in mente che la lunghezza della lista e la densità delle sigle sono direttamente proporzionali al grado di trasformazione dell’alimento. È cruciale anche prestare attenzione alle percentuali indicate e agli additivi, spesso introdotti per compensare riduzioni di calorie o per migliorare il sapore. Tuttavia, è fondamentale agire con giudizio: nessun ingrediente o alimento, se consumato occasionalmente, può essere considerato dannoso. È più importante imparare a limitare il consumo di alimenti ad alto contenuto di grassi, zuccheri o sale.

Barbara Molinario

Giornalista, direttrice del giornale Fashion News Magazine, collabora da oltre venti anni con diverse testate giornalistiche. Esperta di costume e moda. Docente di comunicazione, ufficio stampa, pubbliche relazioni, organizzazione eventi. Speaker radiofonica su RID 96.8 FM. Come presidente dell’Associazione no profit Road to green 2020, dal 2016 ogni anno organizza il Forum internazionale “La città del futuro” dedicato alla promozione della sostenibilità ambientale, con il sostegno del Ministero della Transizione Ecologica, tante istituzioni e realtà private attive nel mondo dell’ecologia. Mecenate appassionata di arte e cultura, promuove e favorisce le belle arti, dal 2017 dà voce e spazio a creativi attraverso il contest #roadtogreen sostenendo concretamente artisti, designer, ricercatori, studiosi, letterati. Attivista contro la violenza di genere in ogni forma, tramite il progetto Road to pink dà voce alle donne. Amministratore della società di eventi e ufficio stampa DBG Management & Consulting, è tra i soci fondatori del Convention Bureau Roma e Lazio, per anni ha militato in Confindustria. Tra le pubblicazioni ed i videocorsi: “Combattere il cyberbullismo. Riconoscere le Fake News. Gestire gli haters.”; “Zero, il libretto interattivo contro lo spreco del cibo”; “Racconto di una vita da Corsaro. Pier Paolo Pasolini.”; “Riciclare è un’arte”; “Sostenibilità nell’industria della moda, tra nuovi trend, falsi miti”.
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