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L’appartenenza alle Associazioni è un dato sensibile

Il parere del Garante per la protezione dei dati personali

A cura di Fabrizio Plagenza
Responsabile Dipartimento Casa – Consumerismo

L’Appartenenza ad un’Associazione è un dato sensibile

Sembra passato in sordina quanto espresso dal Garante per la protezione dei dati personali riunitosi il 19 gennaio, nell’incontro che ha confermato il parere n. 19/2021 emesso il 14 gennaio scorso, secondo cui l’identità degli iscritti alle associazioni è inviolabile e l’appartenenza ad una associazione è un dato sensibile (rectius: particolare).
Secondo il Garante, laddove l’associazione tuteli i diritti individuali (a maggior ragione attraverso lo svolgimento di una class action o azione similare, “i dati personali riferiti all’appartenenza ad associazioni private o ad altra organizzazione comunque definita, rientrano fra le categorie particolari di dati cui il regolamento e il codice sulla privacy riservano le più elevate garanzie nel caso in cui siano idonei a rivelare le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale delle persone”.

Il dato che emerge è il seguente : appartenenza alle associazioni = dato sensibile

Quale possa essere il risvolto da un punto di vista pratico, ce lo riferisce l’Avv. Carlo PIKLER, specializzato nel trattamento dei dati personali, secondo cui “La conseguenza di questo provvedimento ha effetti molto più ampi rispetto a quello circoscritto del caso concreto, andando ad impattare in maniera rilevante sulle procedure interne ed esterne delle Associazioni di categoria le quali dovranno adottare quelle misure di sicurezza di grado superiore per trattare i dati degli associati e per proteggerli, come si trattasse di dati sanitari. Le grandi Associazioni, che operano su territorio nazionale poi, dovranno anche considerarsi obbligate come dispone l’art 37 n. 3 del Regolamento europeo 16/679, a nominare un Data Protection Officer (D.P.O.) in quanto rientreranno inevitabilmente nella categoria dei titolari che effettuano quei trattamenti su “larga scala” ai sensi dell’art. 9 GDPR. Dovranno altresì svolgere una valutazione di impatto privacy (DPIA), che diviene ora necessaria all’interno di ogni organizzazione associativa.
Ma cambia anche la situazione per l’associato, il quale acquisirà ulteriori e nuovi diritti, primo tra tutti, quello di pretendere di avere un referente preparato in relazione alla gestione dei propri dati, il D.P.O. appunto, i cui dati di contatto dovranno essere disponibili allo stesso attraverso l’informativa che l’associazione gli deve mettere a disposizione”.

Ministero della Giustizia titolare dei dati personali degli associati: importante tutela per i consumatori

La questione è particolarmente delicata, come sottolinea l’Avv. Fabrizio PLAGENZA, membro del Comitato Scientifico di CONSUMERISMO – No Profit. “La questione tocca direttamente i consumatori, i loro dati e chi li detiene – dichiara – ed il parere espresso dal Garante riguarda proprio l’elenco delle organizzazioni e associazioni di consumatori, legittimate a proporre le azioni di classe, nonché le azioni inibitorie collettive. Affidare al Ministero della Giustizia la titolarità del trattamento dei dati personali degli associati risulta un’importante tutela per i consumatori atteso che quei dati personali riferiti all’appartenenza ad associazioni private potrebbero rivelare informazioni sensibili e molto delicate della sfera più intima e personale. Il parere salvaguarda, inoltre, la libertà di associazione, costituzionalmente riconosciuta dall’art. 18 Cost. in forza del quale deve essere riconosciuta la libertà di associazione ed assicurato a tutti il diritto di associarsi liberamente, senza necessità di alcuna autorizzazione e per fini non vietati dalla legge”.

Si condivide, dunque, il parere del Ministero della Giustizia secondo cui “Un obbligo di comunicazione di dati personali riguardanti l’appartenenza dei cittadini ad associazioni di qualunque genere, come quello in esame, per finalità di controllo in ordine ai requisiti che tali organismi devono possedere per proporre azioni di classe – che potrebbero anche non essere mai esperite – appare irragionevole e può costituire potenzialmente anche un limite alla libertà di associazione stessa.

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